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Gioia Conta Haller

Ricerche su alcuni centri fortificati in opera poligonale in area campano-sannitica...

1978

 

Capitolo IV

FORTIFICAZIONI DEL MATESE

(senza tavole e senza note) pp. 59-69

 

Passiamo ora alla trattazione delle fortificazioni sulla sinistra del Volturno, nel massiccio del Matese, già note attraverso le ricognizioni del Maiuri, ma che abbiamo potuto arricchire, in base alle recenti esplorazioni, di nuovi e interessanti elementi: di essi, il più notevole certamente è stato, come vedremo meglio più avanti, la scoperta di una terza fortificazione poligonale accanto alle due finora note sul lato del Monte Cila.

Il Matese (Monte Miletto m 2050) è un esteso massiccio calcareo nel cuore del Sannio, in cui si può riconoscere l’antico Mons Tifernus. Esso è formato da una catena ellittica di monti di altezza limitata, dentro la quale si erge la vera montagna del Matese. Fra quest’ultima e la corona montuosa si aprono una serie di valli, alcune delle quali sono chiuse, come quella dove si formò il lago del Matese (m 1007), e quella dove nasce il fiume Lete, che prosegue poi per via sotterranea.

Sulle pendici meridionali del Matese, che hanno nel monte Cila (m 677) l’estremo contrafforte verso la sottostante valle del Volturno, sorge Piedimonte d’Alife, che deve essere messa in rapporto con l’Allifae sannitica collocata dal Nissen, nei pressi dell’attuale paese di Castello d’Alife; dal Maiuri, sul Monte Cila; dal von Duhn, in pianura, nelle vicinanze della città romana.

 

 

PIEDIMONTE D’ALIFE

 

Sul monte Cila, separato ad occidente dalle alture di Raviscanina e di Ailano dal vallone Paterno e ad oriente dalle montagne di S. Potito e di Gioia Sannitica dal vallone di Rio, sono diverse opere di fortificazione, già rilevate dal Maiuri. La descrizione del Maiuri, che si basò essenzialmente sulle segnalazioni del Marrocco, ed esplorò a quanto risulta, solo la parte più bassa del Monte Cila, non è molto chiara: egli parla infatti dei resti di un muro in opera poligonale a m 80-90 dal livello di Piedimonte e di quelli di un secondo muro posto più in alto. Il Marrocco suppone invece tre circuiti di difesa, il primo doppio, i cui ruderi si trovano nell’uliveto della Società Elettrica, tra la condotta forzata ed una cava, sopra la strada “Madonna delle Grazie” (diramazione per S. Nicola) e nell’uliveto Fantini. I resti del secondo circuito, anche doppio, sarebbero a sinistra della condotta forzata; del terzo invece, che avrebbe uno sviluppo di circa mille metri, si avrebbero tracce negli uliveti Marsella e Boggia.

Un’attenta esplorazione ha confermato l’esistenza di una prima recinzione di difesa, che corre doppia sul lato meridionale del Monte Cila, dove il pendio non è eccessivamente ripido, mentre gli altri due lati sono delimitati da profonde gole, per cui evidentemente non si è sentita la necessità di ulteriori opere difensive.

Le mura si trovano a quota m 50 sopra il piano (m 210) ed hanno una lunghezza di circa km 2. Si tratta di due cortine divise da una fascia di terreno, larga da m 15 a m 20, che costituisce un gradone, analogo a quello di Monte S. Croce. Mentre il muro inferiore è alto circa m 3,50, che potrebbe coincidere con l’altezza originaria, poiché tale altezza continua per alcune centinaia di metri, quella superiore interna è conservata in alcuni tratti fino a m 7. La tecnica, identica in ambedue le cortine, che fungevano anche da terrazzamento, è in grandi blocchi di varie dimensioni (m 0,40 x 0,50; m 1,20 x 1), dalle superficie grossolana e dai contorni estremamente irregolari, e con blocchetti negli interstizi. Lo spessore della cortina è in media, nei tratti meglio conservati, di m 1,70 circa e il riempimento è in scaglie calcaree. La cortina muraria è inoltre verticale come a Monte S. Croce e non a scarpata, sia pure leggera come in alcuni tratti delle cinta di Trebula. Certamente doveva esistere una porta, in corrispondenza del vecchio viottolo, che porta alla sommità del Monte Cila, e che almeno in parte, è di origine antica, come dimostra la presenza di rozzi gradini tagliati nella roccia nel tratto inferiore. D’altra parte, il fatto che il sentiero salga seguendo una leggera depressione del terreno, dove il muro con tutta probabilità doveva presentare una rientranza, fa pensare a questo come al punto più adatto per una porta con un minimo di opera di fiancheggiamento. Purtroppo questo tratto di cortina è molto mal conservato, come del resto quello dell’estremità E, dove probabilmente si apriva una seconda porta: il fatto che proprio in questi punti nevralgici il muro sia ridotto solo ad una traccia, può far pensare ad uno smantellamento parziale del muro di fortificazione già in età antica, proseguito in epoca successiva per la riutilizzazione dei blocchi, soprattutto nelle vicinanze dell’abitato di Piedimonte.

Proseguendo nell’esplorazione, ho riconosciuto il secondo muro posto più in alto, a quota m 400-500 circa, in alcuni tratti ben conservato, costruito in grandi blocchi, che arrivano all’altezza media di m 3,50. Esso, in ogni caso, si presenta semplice, e non doppio, come risulta dalle descrizioni del Marrocco: corre sulla parte meridionale del Monte Cila, e s’interrompe nella roccia sui lati E e O. La sua funzione è evidentemente quella di delimitare l’altopiano; inoltre il muro in questione è certamente anteriore alla costruzione della doppia cinta più in basso, progettata, evidentemente, come ulteriore rinforzo di quella già esistente.

La doppia cinta è certamente da mettere in rapporto, dal punto di vista tipologico, con le altre cinte a doppia cortina, di cui discuteremo più avanti, e cioè con quelle di Monte S. Croce e di Saepinum; per quanto riguarda la cronologia, la forte analogia con queste ultime, non anteriori con tutta probabilità al IV sec. a.C., rende inaccettabile la datazione del Maiuri al VII-VI sec. a.C.

Per quanto riguarda il terzo circuito di difesa, descritto dal Marrocco, risulta comprensibile che il Maiuri non ne abbia parlato nel suo lavoro, perché, pur avendo battuto con estrema attenzione tutta la zona superiore al secondo recinto, non ho trovato nulla che possa avvicinarsi a dei resti di un’opera artificialmente costruita. Piuttosto, la roccia calcarea in molti punti presenta delle fratture, che la fanno ritenere, a prima vista, un muro costruito dall’uomo, e ciò potrebbe aver tratto in inganno anche il Marrocco.

 

 

CASTELLO D’ALIFE

 

Oltre alle due cinte sulle pendici del Monte Cila, un’attenta esplorazione nelle zone circostanti mi ha permesso di individuare parte di una terza fortificazione: blocchi megalitici si trovano infatti nella parte più bassa del muro del lato N del castello di Castello d’Alife (m 476). Come negli altri casi analoghi, ad esempio nel castello di Presenzano sopra visto, il muro di fortificazione in opera poligonale è stato in parte distrutto e in parte sopraelevato nella costruzione del castello medievale.

Si tratta di oltre m 150 di muro in opera poligonale, abbastanza accurata, in blocchi di dimensioni diverse – i più grandi sono di m 1,50 – conservato fino all’altezza di m 3,50 circa, che doveva difendere, sul lato N, che è quello più facilmente attaccabile, il cocuzzolo occupato dall’attuale paese.

La posizione del muro di fortificazione, a difesa dell’accesso più diretto all’altopiano del Matese, e la sua semplicità, per quanto si può giudicare dalle strutture murarie in situ, e da ciò che è dato interpretare ad un’indagine superficiale, priva del necessario contributo di uno scavo, fanno ritenere che tale opera abbia costituito la prima difesa in ordine di tempo di questo lato delle pendici del Matese. Infatti le fortificazione del Monte Cila (che d’altra parte si presenta naturalmente difeso sul lato orientale prospiciente il castello da una profonda e impraticabile gola) si presentano tipologicamente e costruttivamente più complesse, costituendo con la cinta superiore e la doppia inferiore un’opera inequivocabilmente più impegnativa, probabilmente un ampliamento del primo oppidum di Castello, ritenuto con il tempo insufficiente. Non sembra comunque che l’apparato difensivo qui descritto, che mostra una notevole complessità, possa essere servito esclusivamente a difesa e protezione del valico; ferma restando la posizione strategica di ostacolo al libero accesso agli altopiani, la notevole ampiezza dell’are compresa nelle mura di fortificazione si spiega con la necessità di portare al riparo, nei momenti di pericolo, notevoli quantità di persone e di bestiame.

È certo che i ritrovamenti dell’età del ferro sull’altopiano del Monte Cila non possano essere messi in rapporto con le opere difensive a noi pervenute ed è probabile che queste ultime siano state costruite per trasformare tutta la zona sopra Piedimonte in un vasto oppidum, in una epoca in cui a quell’altezza non v’era più nessun abitato. La fortificazione fu forse usata anche in epoca posteriore, dopo la conclusione delle guerre sannitiche: probabilmente il locus munitus in cui pose l’accampamento Fabio Massimo nel 217 a.C. per sorvegliare le mosse di Annibale era proprio l’oppidum del Monte Cila riutilizzato in quest’ultima occasione.

L’importanza del complesso del Monte Cila e di Castello d’Alife è d’altra parte confermata dal notevole popolamento della zona, quale risulta dalle numerose necropoli e tombe sporadiche, che vanno soprattutto dal VII al IV sec. a.C. inoltrato, sparse lungo le prime pendici nel Matese, distribuite in una fascia di circa 20 chilometri di lunghezza, da Ailano a Gioia Sannitica. Non molto lontani dalle necropoli sono da supporre quindi gli stanziamenti sannitici, sulle pendici o sulle prime falde del Matese. L’estrema diffusione dei luoghi di sepoltura sembrerebbe inoltre testimoniare una struttura pagano-vicanica dell’insediamento, alla quale appartiene con molta probabilità anche un luogo di culto, per quanto si può giudicare dagli scarichi votivi a S. Potito, nelle contrade Conca dell’Arena e “Le Fate”, con materiali databili fra il IV e il III sec. a.C. Se la zona in questione risulta così diffusamente e intensamente abitata, si deve ritenere che la consistenza dell’Allifae sannitica fosse determinata da una serie di nuclei d’insediamento sparsi. D’altra parte la scoperta di un’importante necropoli arcaica e classica in località Conca d’Oro fra Piedimonte ed Alife, la presenza di resti di età romana anche nell’attuale Piedimonte d’Alife e la vicinanza immediata a Castello d’Alife dell’importante sorgente del Torano, che si trova esattamente sulla verticale del dirupo, fanno ritenere probabile che il nucleo principale dell’insediamento sannitico si trovasse alquanto a monte della città romana, e molto probabilmente nei pressi dell’odierna Piedimonte. Non improbabile allora appare la possibilità che la prima cinta di Castello d’Alife costituisca il centro fortificato del nucleo d’insediamento più rilevante. Un sentiero, forse di origine antica, collega il Castello d’Alife alla parte medioevale dell’attuale Piedimonte, verso il quale confluiscono due strade di origine probabilmente antica, per il loro andamento rettilineo, una proveniente da S. Potito Sannitico, l’altra da S. Angelo d’Alife.

La ricchezza di Allifae sannitica e del suo territorio era basata sull’agricoltura, sulla pastorizia e certamente anche sul commercio. Infatti la rete viaria romana che collegava il territorio allifano con Telesia, Teanum, Aesernia, e attraverso Caiatia con Capua rispecchia evidentemente dei percorsi e delle situazioni, in cui i traffici dovevano essere molto floridi, se, oltre ad importare della ceramica attica della prima metà del IV sec. a.C., gli Allifani coniarono monete in argento con i tipi di Neapolis. L’esistenza di una classe ricca che deteneva il potere economico è testimoniata del resto da un gruppo di tombe dipinte, che sono le uniche finora note nel Sannio.

Allifae fu conquistata dai Romani una prima volta nel 326 a.C., quindi per un periodo tornò in mano ai Sanniti, per essere ripresa dai Romani nel 310 a.C. Forse proprio al periodo tra le due conquiste si può datare la costruzione e verosimilmente anche il rafforzamento delle fortificazioni.

In età romana dovette continuare con ogni probabilità l’insediamento sparso nella fascia pedemontana, come sembrerebbe testimoniare la presenza di resti di edifici di varia natura e il rinvenimento di tombe nei pressi delle necropoli note di età sannitica, da S. Potito (località Le Torelle) a S. Angelo d’Alife, ad Ailano, fino alle pendici del Monte Cila.

Dopo l’annessione definitiva, Allifae venne organizzata come praefectura. Non ottenne probabilmente la piena cittadinanza romana prima della guerra sociale. Iscritta alla tribù Teretina, vi fu dedotta una colonia in età triumvirale. In concomitanza con la deduzione della colonia avvenne il fatto più rilevante della storia di Allifae: la creazione in piena pianura della città, e la suddivisione agraria intorno ad essa. La città, a pianta rettangolare, è orientata da NO a SE e conserva ancora gran parte dello schema urbanistico ortogonale e delle fortificazioni in opus incertum di calcare. Alla stessa epoca risalgono la cavea del teatro, al quale in età augustea fu aggiunta la scena, e il criptoportico costruito in opera cementizia.

Piedimonte d’Alife, sorta ai piedi del Monte Cila, probabilmente nel IX sec., per volontà degli Allifani sfuggiti alla distruzione della località da parte dei Saraceni, fu fortificata in età medioevale insieme al sovrastante paese di Castello d’Alife, pur appartenendo a due feudi diversi. Ad epoca posteriore risale l’odierna Alife, che sorge sul luogo della città romana.

 

 

MONTE ACERO

 

Il massiccio del Matese si protende verso S con l’alto Monte Monaco di Gioia (m (1332), che ha un’appendice meridionale nel Monte Acero (m 736), un cono isolato sulla sottostante pianura, circondato su due lati dal fiume Titerno, dal letto fortemente incassato.

Sulla vetta del Monte Acero sorge una città fortificata, dall’andamento irregolarmente quadrangolare, in un punto di notevole importanza strategica, dominante il medio corso del Volturno e la bassa valle del Calore. Esplorato dal Maiuri, il recinto fortificato si trova menzionato già nel Corcia, che vi volle riconoscere i resti dell’antica Telesia sannitica e nello Jannacchino.

La via che congiungeva Allifae a Beneventum correva lungo le pendici orientali della collina, per giungere dopo pochi chilometri alla città di Telesia, che sorge alla confluenza del Calore con il Volturno, a metà strada tra Capua, Benevento e Venafro.

La sommità del Monte Acero termina in due cime separate da un leggero avvallamento: su quella meridionale (m 725) sono i resti della costruzione moderna, non portata a termine, della chiesa del Redentore, l’altra è invece occupata da un recinto poligonale: le mura sono costituite da grossi blocchi poligonali tendenti al rettangolare, cavati dal calcare stratificato del monte secondo i naturali punti di rottura: gli interstizi sono riempiti di pietrame minuto. La cinta ha un perimetro di circa km 3, e l’altezza media del muro è di m 3,50 circa. La vegetazione, che invade tutta la sommità del monte, impedisce rilevamenti più precisi. Una porta si trova in un saliente sul lato meridionale in direzione di Telesia, dove la quota della cinta si abbassa leggermente seguendo il pendio. Un’altra porta si trova nel punto più basso della cresta fra le due cime.

 

 

FAICCHIO

 

La costruzione dell’opera difensiva di Monte Acero, di cui d’altra parte abbiamo già notato le caratteristiche strategiche, è considerata dal Maiuri come completamento del sistema di fortificazioni, che ha nell’altra arce di Faicchio (m 413) uno dei punti nevralgici per il controllo e la difesa degli accessi del Matese da SE.

Alcuni tratti di muro in opera poligonale nell’area intorno al convento di S. Pasquale, che domina dalla cima della collina l’abitato di Faicchio, sono parsi al Maiuri appartenere ad una cinta difensiva; la ricognizione che ho compiuto conferma tale ipotesi.

Il tratto S meglio conservato della fortificazione si trova circa a m 50 a valle del monastero: i blocchi sono di grandezza diversa, con le facce abbastanza levigate; l’altezza del muro giunge fino ai m 3,50. Il muro di blocchi poligonali è stato utilizzato, all’epoca della costruzione del monastero, come sostruzione del sentiero, che costituiva l’antico percorso della via Crucis, e che, ancor oggi, se pure mal tenuto, sale ripido, con numerose e strette curve, dal paese di Faicchio. Altri tratti, meno ben conservati, si trovano lungo il valloncello ad O e in una scarpata ad E del recinto del vasto giardino del convento. La cinta doveva essere di forma rozzamente triangolare e raggiungeva verso l’alto uno spuntone della cresta che corre verso la montagna. In un punto, ora malamente accessibile a causa della folta vegetazione, il Maiuri ha riconosciuto l’antica via di accesso, ipotesi che può essere accettabile. Evidentemente buona parte della cinta fu distrutta quando nel XVIII sec. furono costruite, con molti blocchi di recupero, oltre alla massiccia mole del monastero, anche alcune case coloniche nelle vicinanze, nonché il sentiero sopra detto.

Ad oriente di Faicchio il passaggio del torrente Titerno è assicurato da un ponte romano, che la tradizione popolare indica come ponte di Fabio Massimo, detto anche Ponte dell’Occhio. I piedritti del ponte, che poggiano su due speroni di roccia, sono in opera poligonale molto curata di età repubblicana, mentre il resto è costruito in opera cementizia, con rivestimento in mattoni bipedales a doppio giro di cunei: ciò testimonia che il ponte non può avere avuto la sua struttura definitiva prima del II sec. dell’Impero.

Il territorio non  mai stato esplorato, non è quindi possibile nemmeno formulare qualche ipotesi su probabili presenze antiche nella zona, che evidentemente apparteneva alla vicina Telesia, che notevole importanza politica ebbe nell’ambito della lega sannitica. Si ha solo notizia di ritrovamenti di tombe -che d’altra parte non possono essere datate, giacché i materiali sono andati dispersi- nella zona tra Faicchio e Fontana Vecchia. Il ritrovamento di una statuetta fittile di bovino, databile tra il V e il III sec. a.C., fa pensare all’esistenza di una stipe votiva.

A N, nelle immediate vicinanze della città romana, sono state trovate tombe della prima metà del III a.C., con ceramica a rilievo, influenzata in parte da quella apula, ma con elementi figurati e decorati di carattere italico. L’importanza di Telesia preromana è del resto confermata dal fatto che batté una sua propria monetazione.

Il castello di Faicchio, appoggiato sulle pendici del Monte Monaco di Gioia, risale, nella sua fase più antica, al sec. XIV, e fu ingrandito ed abbellito in età rinascimentale.

 

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